La rinascita del teatro Farnese: dalla distruzione alla completa ricostruzione

Il teatro Farnese di Parma rappresenta ancora oggi uno dei teatri lignei seicenteschi più importanti d'Europa. Realizzato a partire dalla fine del 1617 per volontà di Ranuccio I Farnese, con l‘intenzione di inaugurarlo in occasione di una promessa visita del granduca di Toscana Cosimo II de' Medici, il manufatto fu costruito in poco più di un anno, su progetto di Giovanni Battista Aleotti. Quello che vediamo oggi, però, nonostante l'indubbio fascino che lo caratterizza e nonostante sia privo dello straordinario apparato decorativo che in origine lo rivestiva interamente, rappresenta solo una copia dell'opera seicentesca. Quasi completamente distrutto nel 1944, il teatro Farnese venne infatti ricostruito poco dopo la seconda metà del Novecento.

Le vicende storiche che portarono alla realizzazione dell'opera sono ormai note e sono state oggetto di numerose ricerche pubblicate dai più noti storici dell'architettura. Viceversa, poco indagati sono gli eventi legati all'opera di ricostruzione. Attraverso l'analisi di alcune testimonianze storiche meno note, in questo contesto si vuole proporre una lettura dello straordinario cantiere che, alla fine, permise di restituire alla città l'eccezionale opera che ancora oggi è possibile ammirare.
Nel 1944 molte città italiane furono sottoposte a incursioni aeree da parte degli Alleati. Tra aprile e maggio anche la città di Parma fu interessata da bombardamenti che portarono alla distruzione più o meno completa di ampie porzioni del tessuto urbano. In particolare, il 13 maggio del 1944 un grappolo di bombe dirompenti colpì l'Archivio di Stato, la Biblioteca Palatina, la Pinacoteca e il teatro Farnese causando immani devastazioni.

Analizzando il corpus fotografico realizzato in seguito al drammatico evento è facile comprendere l'entità della distruzione (Figura 1). Nello specifico, per ciò che concerne il teatro Farnese, cinque delle venti capriate presenti nel salone precipitarono sul pavimento e sulle strutture sottostanti, una consistente parte della cavea sormontata dalle logge fu quasi completamente distrutta e tutto l'apparato scultoreo praticamente annientato. Si salvarono solo la parte centrale del proscenio (in particolare la trabeazione con lo stemma farnesiano e le nicchie prospettiche che inquadrano il boccascena), alcune delle strutture addossate alle pareti perimetrali (i due archi trionfali sormontati dalle statue equestri di Alessandro e Ottavio Farnese e, seppure parzialmente, le prime arcate delle gradinate poste in prossimità di essi) e le testimonianze dipinte su queste ultime, protette dalle logge.

Oltre ai più noti fotogrammi provenienti principalmente dal Catalogo generale dei Beni Culturali e dall'archivio fotografico del Complesso Monumentale della Pilotta, particolarmente interessanti risultano le fotografie di Hans Werner Schmidt e quelle provenienti dalla collezione di John Bryan Ward-Perkins. Nello specifico caso dei fotogrammi eseguiti dallo storico tedesco è possibile osservare lo stato del manufatto prima che fossero eseguite le operazioni di pulizia, con la platea ancora completamente coperta di detriti e di tavole di legno.
Immediatamente dopo il drammatico evento bellico, gli organi deputati alla tutela del patrimonio storico-architettonico e, più in generale, il Comune e l'opinione pubblica tutta, si attivarono per far fronte alla situazione. La documentazione d'archivio ci consente di sapere che vennero subito studiate alcune soluzioni atte a garantire l'incolumità di ciò che si era salvato.

In tal senso, le prime proposte che vennero avanzate prevedevano la costruzione di tettoie pensili da realizzare sulle pareti perimetrali della sala, che avrebbero avuto il compito di proteggere dalle intemperie gli affreschi, i resti delle logge e i monumenti equestri. Altrettanto urgente risultava la chiusura delle finestre con tavolati e l'allestimento di un servizio costante di vigilanza che garantisse la protezione di quanto sopravvissuto ai bombardamenti da furti e sottrazioni. Nonostante i numerosi solleciti, tali lavori non vennero mai eseguiti: per quasi un anno le macerie del teatro rimasero quindi immobili sul pavimento della grande sala ormai a cielo aperto, alla mercè degli agenti atmosferici. Gli unici interventi eseguiti, per volontà del Soprintendente alle Gallerie d'arte per le province di Parma e Piacenza, Armando Ottaviano Quintavalle, riguardarono il recupero di tutti gli elementi decorativi sopravvissuti alla furia devastatrice degli ordigni bellici. Tali elementi (alcuni tondi dei re e dei consoli, parti delle balaustre, dei cornicioni, dei rosoni, ecc.), realizzati in legno o in stucco, furono reputati fin da subito testimonianze chiave per una eventuale ricostruzione dell'opera e quindi messi al sicuro.

Dopo aver eseguito alcuni interventi più urgenti, come la "ricostruzione del tetto, di parte delle murature e degli infissi esterni delle finestre", all'inizio degli anni Cinquanta si sviluppò un acceso dibattito intorno a quale dovesse essere il futuro dell'opera farnesiana. Le ipotesi prese in considerazione furono essenzialmente tre: smantellare completamente la struttura; trasformare il vasto ambiente in cinema-teatro e, soprattutto, ricostruire l'opera com'era dov'era. Quest'ultima ipotesi, peraltro, era supportata da analoghe esperienze appena portate a conclusione. In particolare, nella vicina Bologna, solo da pochi anni erano stati terminati i lavori di ricostruzione del Teatro anatomico dell'Archiginnasio, anch'esso gravemente danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

Alla fine prevalse l'idea di operare attraverso una ricostruzione filologica del teatro. Uno dei primi stanziamenti ottenuti a tal fine, per un importo pari a lire 500.000, rientrò nel programma di riparazione dei danni di guerra. Con tale somma nel 1953 vennero smontate alcune strutture pericolanti, vennero realizzati i ponteggi necessari per un completo rilievo delle strutture esistenti, venne eseguita un'accurata documentazione fotografica (Figura 2) e, infine, venne condotta un'approfondita ricerca storica volta ad individuare tutto il materiale iconografico e documentario utile alla ricostruzione dell'opera. In tale occasione furono realizzati dall'arch. Arrigo Stanzani alcuni disegni di rilievo in scala 1:100 (due piante, una sezione longitudinale, due sezioni trasversali, un dettaglio della capriata) e alcuni elaborati grafici nei quali è possibile individuare una prima proposta di progetto di ricostruzione (una pianta, una sezione longitudinale e una sezione trasversale).
La documentazione d'archivio finora consultata ci permette di sapere che, almeno inizialmente, vennero prese in considerazione ipotesi che prevedevano soluzioni progettuali diverse da quelle che vennero poi adottate. Nello specifico, è interessante quanto indicato all'interno di un "piano di esecuzione dei lavori", datato 17 maggio 1954 e stimato per una spesa di lire 180.000.000, nel quale veniva prevista la integrale ricostruzione dell'opera, da raggiungere seguendo tre finalità: "1 - massima sicurezza contro gli incendi; 2 - grande leggerezza delle strutture congiunta alla necessaria solidità; 3 - conservazione della acustica originale del vano".
Per soddisfare tali requisiti, nonostante la copertura fosse stata completata di recente, il progetto prevedeva inizialmente un totale rinnovamento del tetto con strutture in cemento armato e laterizio. Tale proposta, per motivi economici, veniva poi scartata a favore del rafforzamento delle strutture del tetto mediante l'inserimento ogni due capriate lignee di una capriata in ferro. Al fine di conservare le qualità acustiche del salone, invece, veniva proposta la ricostruzione dell'originario controsoffitto, da realizzare con materiale leggero. Per finire, si proponeva la ricostruzione della struttura delle gradinate adottando soluzioni miste in laterizio e cemento armato. Quest'ultima proposta era supportata da un progetto elaborato dalla Società Galotti di Bologna, in cui i progettisti proponevano una struttura in laterizio "Record" leggero e cemento armato, sostenuta da elementi in muratura e pilastrini a trave rovescia. Tale soluzione progettuale è documentata in particolare in un elaborato grafico conservato presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza. Il disegno, datato 14 aprile 1954, è costituito da una planimetria delle gradinate e una sezione della rampa realizzate in scala 1:100 e da alcuni particolari di dettaglio in scala 1:20 e 1:10 (Figura 3). Nell'analisi di costi allegata all'elaborato grafico è riportato anche il prezzo a metro quadro della struttura (in sviluppo), pari a lire 3.900.
Il piano di esecuzione dei lavori, seppure con qualche modifica, venne approvato dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti il 24 novembre 1954. Tale notizia fu annunciata dai giornali locali il 3 dicembre del 1954, mentre la comunicazione del primo stanziamento dei fondi, per un importo totale di 25 milioni di lire (di cui 10 provenienti dal Ministero del Lavori Pubblici e 15 da quello della Pubblica Istruzione) avvenne due anni dopo, il 17 ottobre del 1956.

A partire dalla fine del 1956 iniziarono i lavori di ricostruzione delle parti architettoniche ad opera della Soprintendenza ai Monumenti di Bologna, dirette dall'architetto Ettore Martini affiancato dall'ingegnere Socrate Sissa del Genio Civile. Per l'esecuzione del progetto, documentato nelle tavole di Arrigo Stanzani, la scelta cadde sull'impresa parmigiana di Italo Pinazzi, una vera e propria bottega artigiana all'antica dove si esaltava il lavoro manuale, già conosciuta alla Soprintendenza ai Beni Artistici per alcuni precedenti lavori svolti presso la Pinacoteca.
Nonostante l'approvazione del progetto sopra brevemente descritto, alla fine si scelse di ricostruire l'opera interamente in legno e di non realizzare la struttura del controsoffitto. Come attentamente osservava A.C. Quintavalle, una ricostruzione basata sull'utilizzo di materiali diversi dal legno avrebbe comportato numerose problematiche di natura tecnica, legate alla disomogeneità delle caratteristiche meccaniche dei materiali stessi. Inoltre, la costruzione di strutture più pesanti (come il sistema di sostegno alle gradinate da realizzare in laterizio armato), avrebbe potuto compromettere la stabilità delle volte sottostanti. Un'altra decisione fondamentale che venne presa in questo periodo, nonostante i pareri contrari del Comitato Parmense per l'Arte, riguardò la scelta di non ricostruire l'apparato decorativo plastico andato quasi completamente distrutto e di non riprodurre le decorazioni pittoriche che in origine rivestivano la quasi totalità delle strutture lignee. Per non lasciare spazio ad interpretazioni erronee si decise anche di rendere immediatamente leggibile la distinzione fra le parti autentiche (caratterizzate da una tinta più scura) e quelle ricostruite.

Dell'intero cantiere esistono diverse testimonianze fotografiche. Tra queste, particolarmente interessanti risultano quelle provenienti dalla collezione privata della famiglia Pinazzi11. Dall'analisi di tali fotogrammi è emerso come la ricostruzione della struttura architettonica abbia avuto inizio nella zona del proscenio, abbia continuato con la ricostruzione delle gradinate e sia terminata con la realizzazione delle logge (Figura 4). Risulta facile intuire le difficoltà tecniche legate alla lavorazione del legname necessario alla ricostruzione di un'opera di dimensioni così importanti. Le maestranze coinvolte nel cantiere dovettero essere estremamente specializzate; basti pensare alla complessità di riprodurre l'apparato plastico di dettaglio che originariamente caratterizzava il manufatto. Come dimostrano diverse fotografie che documentano le operazioni di ricostruzione, durante tutto il cantiere la platea fu trasformata in una grande falegnameria, popolata da elementi originali accuratamente ordinati, affiancati da grandi quantità di legname ancora da lavorare. Nei fotogrammi è possibile inoltre notare le attrezzature utilizzate per il trattamento di tali materiali.

Una prima questione particolarmente delicata da affrontare per i costruttori fu quella della connessione degli elementi originali sopravvissuti con quelli realizzati ex-novo in legno d'abete del Friuli. Per la ricostruzione dell'opera, infatti, si scelse di recuperare tutti gli elementi lignei riutilizzabili che, come detto precedentemente, furono accuratamente custoditi dopo la distruzione del 1944. Come riporta A.C. Quintavalle, da questo punto di vista uno dei principali problemi riguardò la consistenza degli elementi lignei antichi: "il legno di questi pezzi rimasti era senza più fibra, completamente secco, friabile quindi, senza elasticità, nessun trattamento poteva dargli la resistenza e quindi la capacità a sopportare pesi, sforzi, trazioni, a essere avvitato o inchiodato, qualità che erano invece necessarie per poterlo porre in opera; da ciò si comprende come molto spesso le parti antiche si siano dovute fissare con attenta cura sopra supporti lignei nuovi, affinché la costruzione non presentasse parti deboli o addirittura non rischiasse di crollare in testa agli stessi architetti"12. Una seconda questione riguardò invece l'individuazione dell'esatta collocazione dei singoli elementi. Tali problematiche resero ancora di più l'intero cantiere un lavoro di difficile e paziente artigianato, eseguito in gran parte da tre carpentieri, Antonio Gruzza, Renato Barilli, Pietro Bonzilli e da un artigiano, citato nella documentazione come "il Minozzi".
Al fine di tutelare il monumento dallo stesso nemico che aveva già preoccupato Maria Luigia nell'Ottocento, ossia il fuoco, tutte le superfici lignee furono trattate con apposite vernici. I primi ordini dell'ignifugo "PYROMORS-NORMAL", effettuate alla Società Chimica dell'Aniene S.p.A., risalgono al 24 giugno 1957. Negli stessi ordini fu peraltro richiesto anche un prodotto antitermitico, lo "XYLAMON-TR-CHIARO". Complessivamente, nei mesi successivi furono forniti al cantiere oltre 200 kg del prodotto ignifugo e altrettanti del prodotto contro i parassiti.
Come si deduce dalla relazione sui lavori di ripristino firmata dall'architetto Martini, al 17 settembre 1959 i lavori di costruzione erano "già in stato avanzato. Rifatto il palcoscenico nelle sue dimensioni originarie del 1618; consolidato e completato il boccascena; ricostruite le ali del proscenio, la gradinata, tutta la intelaiatura dei due ordini di logge e una parte della veste architettonica di esse; preparate tutte le colonne, paraste, mascheroni della rimanente parte, si tratta ora di completare l'opera in questa veste"13. Una chiara rappresentazione dello stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione del teatro è inoltre documentata in alcune scene di un noto film del 1961 di Valerio Zurlini, "La ragazza con la valigia". In tali riprese cinematografiche è possibile notare come la pavimentazione e la parte retrostante al palcoscenico non siano ancora state ricostruite e come la platea sia ancora popolata da elementi plastici di dettaglio, in particolare le balaustre, in attesa di essere montate sulla struttura delle logge.
Dal certificato di collaudo relativo alla ricostruzione del pavimento nella platea del teatro veniamo poi a sapere che la pavimentazione della sala fu terminata il 19 ottobre 1961. Un anno dopo, i lavori di restauro delle parti architettoniche del Farnese furono terminate (Capelli, 1990).
Nel complesso, la ricostruzione rispettò quasi completamente l'originaria configurazione del teatro. Alcune piccole variazioni rispetto a quanto realizzato da Aleotti, si possono riscontrare solo nella semplificazione di alcuni elementi decorativi, nella modifica della pendenza delle logge, nella riorganizzazione dei sistemi di salita sulle gradinate e nell'introduzione del soffitto in assito nella zona del boccascena, assente nella documentazione storica e per la prima volta notata da Gandolfi (Gandolfi 1980).
Concluso il cantiere, il teatro poté dirsi nuovamente pronto ad ospitare spettacoli. Ancora una volta, però, la tormentata struttura divenne oggetto di polemiche in merito al suo utilizzo. Da una parte si schierarono coloro che proponevano il ritorno all'originaria funzione dell'opera, dall'altra coloro che invece proponevano di farlo rivivere solo ed esclusivamente come pura testimonianza storica. Venti giorni prima della manifestazione che avrebbe dovuto inaugurare il teatro ricostruito (l'esecuzione della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi prevista per il 24 settembre del 1966) il direttore delle Antichità di Belle Arti del Ministero della Pubblica Istruzione decise di non autorizzare lo spettacolo14. In un certo senso questo episodio segnò il destino dell'opera. Da quel momento, in risposta ai cambiamenti della società moderna, il teatro accoglie più funzioni contemporaneamente: esso si configura infatti come parte integrante del percorso espositivo della Galleria Nazionale di Parma, ponendosi come una delle più affascinanti testimonianze architettoniche della tradizione teatrale, e ospita al suo interno eventi di carattere culturale e artistico rievocando, così, la sua funzione originaria di luogo di spettacolo (seppure limitando quasi sempre la presenza del pubblico alla sola platea per ragioni di sicurezza).

Note
1 Il presente contributo nasce da una ricerca più ampia, sviluppata all’interno di una tesi di dottorato discussa a maggio del 2021 dal titolo “Tecnologie digitali integrate per la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale storico. Il teatro Farnese di Parma” (relatore: Prof. Andrea Zerbi).
2 Le riproduzioni delle fotografie di Hans Werner Schmidt sono disponibili presso la biblioteca digitale del Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut.
3 Le riproduzioni delle fotografie di John Bryan Ward-Perkins (collezione War Damage) sono disponibili presso la biblioteca digitale British School at Rome.
4 Presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza sono conservati in particolare tre faldoni relativi al teatro Farnese, suddivisi nei seguenti periodi storici: 1892-1923; 1924-1960; 1960-2017.
5 Estratto dalla risposta del Ministero dei Lavori Pubblici, Provveditorato regionale alle opere pubbliche per l’Emilia al Ministero della Pubblica Istruzione, alla Soprintendenza ai Monumenti dell’Emilia e all’ufficio del Genio Civile, datata il 13 gennaio 1956, conservata presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, fasc. PR/M 15 Teatro Farnese dal 1924 al 1960.
6 Il progetto del cinema-teatro elaborato dagli architetti Ettore Leoni, Mario Vacca, Luigi Sassi e Giro Robuschi fu definitivamente respinto dalla Soprintendenza l’8 agosto 1951. A tal proposito si veda: Capelli G., Il Farnese rischiò grosso, in “Gazzetta di Parma”, 21 marzo 2000.
7 Nota n.930 indirizzata al Ministero Pubblica Istruzione Direzione Generale Antichità e Belle Arti Uffici o Monumenti Roma e firmata dal Soprintendente Raffaello Niccoli, è conservata presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, fasc. PR/M 15 Teatro Farnese dal 1924 al 1960.
8 Ibidem.
9  A dodici anni dalla distruzione inizia il ripristino del Teatro Farnese, “Corriere di Parma”, 17.10.1956.
10 Quintavalle A.C., Entro un triennio il Farnese completato nella ricostruzione, in “Il Resto del Carlino”, 13 febbraio 1959.11 Si ringrazia la famiglia di Italo Pinazzi, e in particolare Emma Pinazzi e Monica Dentoni, che ha gentilmente permesso di consultare il ricchissimo corpus fotografico.
12 Quintavalle A.C., Amore e sapienza non in allegoria per risolvere i “puzzle” del Farnese, in “Il Resto del Carlino”, 5 febbraio 1959.
13 Martini E., Relazione storica e tecnica sulla perizia n°... del 12 agosto 1959 concernente lavori di ripristino del teatro Farnese nel Palazzo della Pilotta in Parma di proprietà del demanio, Bologna, 17 settembre 1959. La relazione è conservata presso la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Parma e Piacenza, fasc. PR/M 15 Teatro Farnese dal 1924 al 1960.
14 Secondo la Commissione di vigilanza ai pubblici spettacoli, l’agibilità del teatro sarebbe stata raggiunta con l’apertura di ulteriori uscite di sicurezza sotto le gradinate. Questa scelta però avrebbe alterato l’assetto architettonico dell’opera appena ricostruita e pertanto fu considerata inaccettabile. La mancata esecuzione dello spettacolo fu ampiamente riportata dai giornali locali.

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