Il Basalto e l'Ardesia

Alla scoperta di due pietre da sempre usate nel mondo della costruzione

IL BASALTO
Il basalto è una roccia basica effusiva di origine vulcanica, a basso contenuto in silice; infatti esso è fra il 45 e il 52% in peso. Si forma in profondità per fusione, da decompressione del mantello terrestre di masse solide preesistenti e il materiale fuso, spinto dalla pressione dei gas disciolti, si incunea nelle fessure e nelle spaccature della crosta terrestre, fuoriesce e si raffredda al contatto con l'aria o con  l'ambiente subacqueo; inizialmente la temperatura è molto elevata (circa 1.200 °C) e la sua emissione non sempre è accompagnata da fenomeni esplosivi.
Qui, normalmente si ha una rapida cristallizzazione dando luogo a una massa di colore scuro con sfumature dal grigio al nero. La provenienza dalla fusione di rocce preesistenti è dimostrata dal fatto che spesso nella roccia si trovano inglobati fossili o altre sostanze estranee, che sono state annesse al momento della formazione. I minerali costitutivi principali sono un plagioclasio basico, ricco di calcio (labradorite o byotownite), un pirosseno (spesso augite, costituita da calcio, ferro e magnesio) e, quando c'è, non sempre, olivina (più ricca in ferro e magnesio). Quali minerali accessori si possono citare quelli metallici (magnetite, in primis) e apatite.
La lava basaltica solidificata è la parte più importante della crosta oceanica, vale a dire della parte compatta del pianeta Terra. In effetti, le rocce di origine magmatica sono in assoluto le più diffuse (si stima che siano attorno al 98% delle lave prima eruttate sulla superficie terrestre e poi cristallizzate). Il basalto è una roccia diffusa in parecchie zone del mondo. L'ambiente di solidificazione mette in evidenza la differenza fra basalto, che si raffredda all'aria o nell'acqua, e gabbro, la cui formazione avviene all'interno della crosta terrestre. La struttura è compatta e uniforme e la pasta di fondo  varia da porfirica a microcristallina, a vetrosa. E' la principale roccia costituente la parte sovrastante della crosta terrestre oceanica, che si è solidificata, come si è detto,  a seguito del contatto con l'aria o con l'acqua. Il nome definitivamente gli è stato dato nel 1556 da Georgius Agricola, pseudonimo del tedesco Georg Bauer, che ne parlò nella sua opera, incentrata su attività estrattive e industria mineraria, dal titolo De re metallica, Libri XII, pubblicata postuma, un anno dopo la sua morte.
Il basalto che si forma sul fondo dei bacini oceanici, non può certo interessare le attività estrattive (la sua coltivazione verrebbe a costare assurdamente troppo e non ne vale certo la pena); pertanto, l'apertura di cave può essere ritenuto un valido investimento solamente per i giacimenti ubicati all'asciutto. Nel raffreddamento in ambiente aereo, il basalto dà luogo a tre tipi di depositi per cui le cave sono di tre tipi: scorie, polveri o ceneri e brecce o colate laviche. Chiaramente, come pietra che possa essere utilizzata nelle costruzioni di un certo valore, questa non può che far parte del terzo gruppo.
Interessanti dal punto di vista estetico, e non solo minerario,  sono i depositi di basalto colonnare, la cui genesi è come di seguito descritta. Quando la colata lavica esce allo scoperto, si verifica un rapido abbassamento di temperatura, durante il quale si formano giunti e fratture normali o paralleli al fronte della colata lavica. L'ipotesi maggiormente accreditata è che ci sia il principio del massimo rilascio di energia, che comporta, alla fine, la formazione di colonne o prismi essendo il raffreddamento rapido, come avviene in linea di massima, si generano forze che tendono a fare contrarre la massa. Ora, mentre in senso verticale si può avere un abbassamento del flusso, dissipando le tensioni, perché è consentito al materiale di espandersi, lo stesso non può verificarsi orizzontalmente, per cui la massa è portata alla fratturazione. Tali fratturazioni estensive, così formate, conferiscono alla massa un caratteristico aspetto colonnare; il diametro delle colonne dipende dalla velocità di raffreddamento, cioè maggiore è la velocità, minore risulta il diametro. Preferibilmente, la sezione delle colonne tende a essere esagonale, come si riscontra, per esempio, nel Selciato del Gigante, che si trova nell'Irlanda del  Nord, anche se non è rara la presenza di colonne dalla sezione quadrata. Basalti colonnari si trovano a Sheepeater nello Yellowstone National Park (USA) e a Aldeyjarfoss (Islanda).  In ambiente continentale, dove il raffreddamento della lava avviene a contatto con l'aria, si formano caratteristiche strutture tabulari, che vanno sotto il nome di "plateau"; tipici sono il Plateau del Deccan (India), quello del Paranà (Brasile),  e quelli del Columbia e dello Snake River (USA). Essendo la lava basaltica poco vischiosa, quando è eruttata, può fluire con facilità sulla superficie terrestre, fino a ricoprire aree di grandissima estensione: basti pensare che, nel citato Deccan, a seguito di un'eruzione avvenuta 65 milioni di anni fa, il volume del magma è stato valutato in 2 milioni di km 3; la superficie interessata è di circa 600.000 km 2: grosso modo, il doppio del territorio dello stato italiano! Importanti sono i cosiddetti "vulcani a scudo" delle Isole Hawaii, che sorgono dall'acqua dell'Oceano Pacifico.
In Italia i basalti sono presenti nel circondario dell'Etna, il più grande vulcano basaltico del continente europeo in attività, che si eleva in Sicilia fra i fiumi Alcantara e Simeto, e nel Ragusano; le altezze possono essere anche notevoli; sono abbondanti anche in Sardegna (Montiferru, Campeda, Valle del Tirso), oltre che in Veneto (Lessini, Berici, Monte Baldo), Liguria, Toscana, nelle Isole Eolie.
Se non ci sono alterazioni di carattere atmosferico, il  basalto è di un grigio scuro che tende al colore nero. La massa volumica sta tra 2700 e 3100 kg/mc, la densità è relativamente elevata nei confronti di altre rocce. Notevoli sono le resistenze all'usura e alla compressione, ha bassa conduttività elettrica e, caratteristica veramente interessante. Il basalto non è una roccia geliva, cioè non risente delle azioni negative correlate fra gelo e disgelo.
Gli usi sono molteplici: ballast ferroviario (pietrisco usato per la massicciate delle linee ferroviarie), graniglia per asfaltare strade drenanti (caratteristica eccellente), cubetti di varie dimensioni per pavimentazioni e rivestimenti antiabrasivi, pavé,  lastricati, acciottolati, lastre di vari spessori, gradini e sotto gradini, cigli stradali, spaccatelli, tranciati, arredo urbano, camini, statue, rifiniture di pregio, colonne per loggiati, opus incertum (realizzazione del paramento di muri, per esempio, con pietre di misure diverse, che offrono , come risultato, figure irregolari e casuali). Le lavorazioni e i trattamenti superficiali che si possono fare sui manufatti sono diversi e si va dal piano al naturale allo spacco, al piano sega; la superficie può essere rifinita con lucidatura, anche anticata, levigatura, fiammatura, spazzolatura, rigatura, sabbiatura, bugnatura, a idrogetto; talora si interviene con prodotti chimici per dare certi effetti estetici.
In Sicilia, tutte le zone attorno al Vulcano Etna e interessate alle sue eruzioni laviche sono sedi di cave per lo sfruttamento dei giacimenti basaltici. Nella zona centrale della Sardegna, i giacimenti di basalto sono importanti sin dall'antichità; tra il 1.500 e il 500 a.C., dalle cave sono stati estratti i materiali utilizzati nella costruzione di parecchi edifici megalitici e di nuraghi (da ricordare la Tomba dei Giganti), nella realizzazione di strade da parte dei Romani e di palazzi rinascimentali. Spesso il suo uso serviva per creare un piacevole contrasto fra lui e il marmo. In ogni modo, il suo impiego è continuato pure nel secolo scorso. Si sa che è stato per un po' declassato e messo da parte dall'uso del cemento e del mattone, ma pare che i risultati non siano stati soddisfacenti al cento per cento, tanto che ultimamente c'è stata un  importante rivalutazione. Infatti, artigiani e piccoli imprenditori hanno ripreso a lavorarlo, per rispondere alla crescente domanda di manufatti.


L'ARDESIA
L'Ardesia (o, per molti, Pietra di Lavagna) è una roccia metamorfica di origine sedimentaria, che fa parte degli argilloscisti, caratterizzata da una tessitura scistosa. E' il frutto di un metamorfismo poco spinto di rocce sedimentarie argillose (non è raro individuare nella massa resti di minuscole conchiglie fossili), spesso marnose, formatesi a seguito della deposizione di limi finissimi, risultanti dall'erosione di rilievi più antichi. Il tutto avvenne circa novanta milioni di anni fa.
La coltivazione dell'ardesia, nei primi tempi avveniva a cielo aperto, sfruttandogli affioramenti reperibili sulla superficie del suolo, ma poi ci si è trovati costretti a entrare in galleria: inizialmente le  gallerie erano di sezioni ridotte, sufficienti a lasciare passare i trasportatori, che spessissimo erano donne. Con il progresso meccanico, naturalmente i passaggi devono essere sufficientemente spaziosi per lasciare i mezzi di trasporto. Del resto, l'ardesia è in filoni da due a dodici metri, che si addentrano nel cuore dei monti, caratterizzati da diverse pendenze. I blocchi sono determinati a mano, quindi escavati con l'uso delle macchine a catena diamantata.
Nei laboratori di trasformazione e classificazione, gli utensili comuni, quali scalpelli, mazze, seghe, raspe, ecc. a mamo, sono stati sostituiti da macchine moderne, come i telai a seghe multiple, raffreddate ad acqua, apparecchiature con seghe circolari, piallatrici, levigatrici, trapani, macchine a controllo numerico. Naturalmente, il rendimento è molto interessante: per averne un'idea, basti pensare che in quindici ore si possono ottenere sino a settanta lastre con l'uso di un telaio a lame multiple.
Si sfoglia facilmente per piani paralleli, per cui è divisibile in lastre piane e di piccolo spessore; è relativamente leggera, impermeabile e resistente agli agenti atmosferici. Non è una roccia dura, bensì tenera o semidura, comunque è compatta, di un piacevole colore fra il piombo e il nerastro e, pregio rilevante, è facilmente lavorabile. Dopo l'estrazione dal giacimento, i residui carboniosi di cui è ricca, al contatto con l'ossigeno e l'umidità dell'atmosfera e i raggi ultravioletti , si ossidano: così la pigmentazione tende a divenire più chiara.  La sua scistosità - che rappresenta la capacità di separarsi i  lastre secondo i cosiddetti piani di clivaggio - favorita dalla originale foliazione, la rende utile e importante per tante opere nel campo dell'architettura, dell'arte, della decorazione  dell'edilizia, per la realizzazione di tetti, pavimentazioni, gradoni di scalinate, ecc. La sua più significativa applicazione, comunque, sta la realizzazione di lastre per biliardo, sfruttando la sua resistenza agli urti e la sua indeformabilità (anche se, a onore del vero, il Brasile abbia dato del filo da torcere, mettendola talvolta in difficoltà, all'industria italiana di quest'ultimo settore, che da sempre è stato un prestigio delle cave liguri, in particolar modo), e rifiniture architettoniche di notevole pregio.  
Le finiture superficiali possono essere di tre tipi, da scegliere in base a ciò che dalla pietra si richiede: "a spacco di cava", levigate, bocciardate.
Vale la pena di osservare cosa succede dopo che l'ardesia è stata estratta dal suo deposito. Come detto, si tratta di una pietra scistosa, per cui è dotata di una grande fissilità, cioè di una proprietà che favorisce la suddivisione in lastre, sfruttando l'antica tecnica dello spacco. Ora, quando è esposta  all'ambiente aereo, tale peculiarità è destinata a scomparire perché, con la graduale perdita dell'acqua di cristallizzazione, la pietra diventa sempre più dura e impermeabile. Per questo fatto, al fine di assicurarne la lavorabilità, è necessario conservare nella massa la sua umidità sino al momento della  lavorazione. Per questa ragione, si deve proteggere la pietra e ciò si attua come si faceva un tempo, cioè cospargendo il blocco con uno strato di fango, ottenuto mescolando insieme acqua e polvere di ardesia (fanghiglia denominata "boiacca"), e proteggendolo, per impedire che si asciughi, con imballi di materiale plastico.
Quando si decide di lavorarla, la si affida agli spacchini, che procedono alla sfaldatura in lastre, applicando quella tecnica e quegli utensili, che, dalla notte dei tempi, hanno consentito di utilizzare quel magnifico materiale negli ambienti di vita, nelle coperture degli edifici, nei rivestimenti, ecc., ecc.
Fra tutte le realizzazioni, comunque, quella dei tetti ha un'importanza primaria. E in verità, il tetto ha un peso basilare nella casa, giacché deve difenderla dalla pioggia, dalla neve, dal vento, dal calore estivo e dalla rigidità invernale. Chiaramente, poiché le condizioni climatiche nel mondo sono diverse, soprattutto per latitudine, i tetti non possono far altro che adeguarsi a queste esigenze. Se la piovosità è elevata, bisogna costruire  il tetto maggiormente pendente per favorire il deflusso dell'acqua; e lo stesso, se nella zona sono frequenti le nevicate, perché il peso della neve accumulata potrebbe sfondare la struttura. Da sottolineare il fatto che la forma data alle tegole è varia, in modo che l'utente possa avere il tetto con l'aspetto desiderato. In certe zone di montagna la paglia, le canne e il legno, usati per costruire tetti, a causa del pericolo di incendi, sono stati sostituiti dall'ardesia.
Sono curiose le pratiche empiriche spesso seguite al fine di stabilire il grado di impermeabilità dell'ardesia. Una prima prova prevede la sistemazione di un campione di ardesia posto verticalmente e con il bordo inferiore in contatto con l'acqua; se dopo 24 ore il limite dell'umidità non  ha superato il centimetro, significa che la qualità è buona. Un secondo metodo si basa sul tempo necessario all'acqua per attraversare una lastra di ardesia. Si prende il campione e lo si pone orizzontalmente su un recipiente; gli si costruisce nel contorno un piccolo argine di resina o altro e si riempie di acqua il mini bacino così ottenuto: il tempo che necessita all'acqua per passare dall'altra parte, anche tenendo conto dello spessore della roccia, ne dà la misura del grado di impermeabilizzazione.
Per strutture degradate, a meno che non si tratti di opere d'arte, non si pensa al restauro, bensì alla sostituzione con elementi nuovi. In caso di necessità, si può ricorrere a materiali alternativi, però è opportuno ricordare che se l'ardesia può durare intatta un centinaio di anni, un prodotto alternativo, come il materiale ceramico, dura solo al metà. In effetti, nulla dura all'infinito: e anche l'ardesia non è esente da questa legge. Con il trascorrere del tempo, sotto l'azione degli agenti atmosferici, questa pietra tende a sfogliarsi, però, se si fa riferimento ai tetti, si può star tranquilli che prima di lei cedono le incastellature di legno e i loro chiodi metallici.
Il ricorso all'ardesia, nel Tigullio, fra Sestri Levante e Fontanabuona in Liguria,  per diverse applicazioni, pare risalga ad almeno duemilacinquecento anni fa. Infatti, sembra dimostrato che l'utilizzo dell'ardesia sia anteriore all'inizio della dominazione romana. A confermare tale convinzione sta il rinvenimento nella zona di Chiavari di una necropoli (VIII-VI secolo a.C.), in cui le tombe erano "a cassetta", interamente costruite con ardesia.
I giacimenti di ardesia  si incontrano nell'Italia Settentrionale, precisamente in Liguria. Le escavazioni più antiche sono quelle di Chiavari e Lavagna (da cui il nome, che rimane all'ardesia che si usa nelle aule scolastiche). Più tardi si iniziò la coltivazione dei giacimenti di Fontanabuona, posti dietro Genova,  e di quelli di Valle Argentina in provincia di Imperia. All'estero, ci sono giacimenti in Francia (Angers, Grenoble e Cherbourg), nel Galles (Regno Unito), in Brasile, in Argentina.