Il riempimento dei vuoti prodotti dalle attività estrattive con rifiuti diversi da quelli minerari: interpretazione delle disposizioni legislative

Il riempimento dei vuoti prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi da quelli minerari ha costituito spesso una modalità concreta di recupero di un sito di cava o di miniera esaurita, permettendo anche lo svolgersi di un’attività economica aggiuntiva rispetto a quella di scavo, a fini sia di recupero ambientale, sia di smaltimento di rifiuti altrimenti da allocare in aree non compromesse dall’attività estrattiva. La legislazione comunitaria non prevede la coesistenza, nell’ambito della stessa operazione di riempimento, dei principi dello smaltimento e del recupero ambientale, ma certamente la pratica corrente è diversa dalla teoria incorniciata dalla stella legislazione.
Di converso, il timore che i vuoti delle attività estrattive possano essere interessati a fine coltivazione da discariche, costituisce ancora uno dei maggiori motivi di mancata accettazione sociale dell’attività estrattiva.
L’attuale fonte legislativa circa il riempimento di vuoti minerari è data dal decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 117, relativo alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive, che tratta ampiamente anche del riempimento dei vuoti minerari, a fini sia dell’utilizzo di tali vuoti quali “strutture di deposito”, intese nel significato giuridico di discariche  minerarie, sia per recupero ambientale degli stessi vuoti mediante colmatazione.
E’ necessario evidenziare che il citato decreto legislativo n. 117/2008 detta norme specifiche esclusivamente per la gestione dei rifiuti prodotti all’interno dello stesso ciclo minerario, mentre rifiuti minerari prodotti da attività estrattive, qualora non utilizzati o smaltiti all’interno dello stesso ciclo minerario, seguono la legislazione generale in materia di rifiuti.
Con riferimento ai rifiuti diversi da quelli prodotti all’interno del ciclo di estrazione per il riempimento di vuoti minerari, occorre fare riferimento, come normativa di rimando, all’art. 10, comma 3, del decreto legislativo n. 117/2008, che espressamente prevede:
“Il riempimento dei vuoti e delle volumetrie prodotti dall’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione di cui al presente decreto è sottoposto alle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, relativo alle discariche di rifiuti”.
La formulazione di cui sopra apparentemente semplice e chiara, è stata motivo di notevoli difficoltà interpretative, tanto da aver dato luogo a precisazioni, comunicazioni e circolari di origine ministeriale e regionale, nonché a sentenze e ordinanze del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Europea.
In particolare, la Corte di Giustizia Europea, con sentenza C-147/15 del 28 luglio 2016, ha fornito la propria interpretazione circa l'effettiva applicazione dell’art. 10, par. 2, della direttiva comunitaria n. 2006/21/CE,  che è stata attuata a livello nazionale dall’art. 10, comma 3, del decreto n. 117/2008, per la parte riguardante il riempimento di vuoti di estrazione con rifiuti non minerari.
L’interpretazione dell’organo di giustizia europeo, ancorché inappuntabile dal punto di vista giurisdizionale, lascia irrisolti i problemi applicativi connessi ai casi particolari che possono presentarsi nella realtà produttiva ordinaria.

La posizione del Ministero dell’Ambiente
Sin dall’emanazione della legislazione nazionale sui rifiuti minerari sono emerse difficoltà interpretative legate alla possibilità che l’utilizzo dei rifiuti minerari destinati alla colmatazione dei vuoti minerari, con l’obiettivo recupero ambientale dei vuoti stessi e non lo smaltimento, non rientrasse nell’applicazione della direttiva relativa alle discariche. La direttiva discariche esclude espressamente dal proprio ambito di applicazione “l’uso di rifiuti inerti idonei in lavori di accrescimento/ricostruzione e riempimento o a fini di costruzione delle discariche”, per cui una lettura coordinata con la direttiva rifiuti minerari, avrebbe favorito la soluzione dei problemi interpretativi riscontrati, almeno per i rifiuti inerti utilizzati a fini di recupero.
L’interpretazione normativa di che trattasi è stata oggetto di confronto all’interno del coordinamento delle regioni e tra le regioni stesse e il Ministero dell’Ambiente, senza che si sia addivenuto a un accordo, pertanto, la soluzione della problematica è stata rinviata a seguito di ulteriori chiarimenti o accordi.
A seguito dell’istituzione di un tavolo tecnico per le problematiche derivanti dall’applicazione del decreto legislativo n. 117/2008, tra il Ministero dell’Ambiente e il Ministero dello Sviluppo Economico, è stato fornito, nella materia specifica, il parere AE/03/2011 del 30 giugno 2011, con il quale è stata data una interpretazione condivisa del citato art. 10, comma 3. Secondo tale interpretazione, la normativa generale di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, consente, qualora ne ricorrano i presupposti, di realizzare operazioni di recupero ambientale con materiali diversi dai rifiuti di estrazione, per cui occorre chiarire, in via prioritaria, se il citato art. 10, comma 3, limita in qualche misura l’applicazione della disciplina del recupero dei rifiuti.
Il gruppo tecnico ha ritenuto, correttamente, che il legislatore minerario ha voluto assoggettare alla disciplina della direttiva discariche esclusivamente le attività di smaltimento dei rifiuti all’interno dei siti estrattivi e non le operazioni di recupero ambientale, cui poteva essere assimilato anche il riempimento dei vuoti con rifiuti diversi da quelli estrattivi. Al fine di evitare il duplicazione e la sovrapposizione delle procedure autorizzative è stato ritenuto che l’approvazione da parte dell’autorità competente mineraria del progetto di coltivazione, comprensivo del piano di gestione dei rifiuti di estrazione, potesse costituire anche autorizzazione alle attività ivi previste, di recupero dei vuoti estrattivi.
L’interpretazione data dal gruppo tecnico appare sostanzialmente errata, in quanto il piano di gestione dei rifiuti fa esclusivo riferimento a quelli derivanti dall’attività estrattiva, e non a quelli di provenienza esterna, inoltre non appare possibile surrogare le autorizzazioni previste dagli artt. 208, 214 e 216 del decreto legislativo 152/2006 con riferimento alle autorizzazioni o alle comunicazioni  previste relativamente alle operazioni di recupero dei rifiuti.
Un ulteriore parere del Ministero dell’Ambiente del 2 febbraio 2015, nel riscontrare una specifica richiesta della provincia di Verona, ha tentato di chiarire ancora la portata dell’art. 10, comma 3, precitato, richiedendo anche il supporto dell’Helpdesk istituito dalla Commissione Europea per l’implementazione della legislazione comunitaria e in particolare del regolamento sulle spedizioni di rifiuti (reg. CE 1013/2006).
In risposta al quesito del Ministero dell’Ambiente, da parte europea è stato precisato che una operazione di backfilling (riempimento) di vuoti dell’attività estrattiva con rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione può essere considerata una operazione di recupero. Il termine backfilling compare anche nella comunicazione COM (2015) 595 finale del 2 dicembre 2015 di proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio di modifica della Direttiva 2008/98/CE in materia di rifiuti, all’interno del pacchetto proposto per l’attuazione di un’economia circolare.
“Backfilling” means any recovery operation where suitable waste is used for reclamation purposes in excavated areas or for engineering purposes in landscaping or construction instead of other non-waste materials which would otherwise have been used for that purpose.
Il Ministero dell’Ambiente, acquisito il parere europeo, conferma, pertanto, che l’art. 10, comma 3, è applicabile solo alle operazioni di smaltimento di rifiuti diversi da quelli minerari nei vuoti dell’attività estrattiva.
Confermando il parere del 2011, si afferma che i riempimenti dei vuoti di estrazione ai fini del ripristino ambientale effettuati utilizzando dei rifiuti in sostituzione di materie prime, laddove i primi abbiano le caratteristiche idonee a sostituire queste ultime senza che ciò sia causa di un aumento degli impatti della salute o sull’ambiente, non costituiscono attività di smaltimento di rifiuti, ma operazioni di recupero, e pertanto non sono sottoposti alle previsioni della direttiva sulle discariche.
Il parere del Ministero dell’Ambiente del 2015, nel modificare le indicazioni del precedente parere del tavolo tecnico con il Ministero dello Sviluppo economico nel 2011, richiama la necessità che le attività di riempimento siano autorizzate come forma di recupero dei rifiuti, ai sensi del decreto legislativo n. 152/2006, secondo la procedura ordinaria (Art. 208, voce R10, recupero ambientale, dell’allegato B alla parte quarta) o la procedura semplificata (artt. 214 e 216 e D.M. 5 febbraio 2008).
I pareri precedenti non hanno preso in considerazione, ai fini della interpretazione dell’art. 10. comma 3, il rilievo, già emerso anche in una consulenza a favore del Ministero dell’Ambiente del 2009, che la versione italiana della direttiva comunitaria n. 2006/21/CE, per il punto che ci interessa, differisce in modo rilevante da quella inglese. La versione inglese risulta essere la seguente: Directive 1993/31/EC (direttiva discariche) shall continue to apply to the waste other than extractive waste used for filling in escavation voids as appropriate.
Il riferimento alla normativa sulle discariche di cui all’art. 10, comma 3, pertanto, non deve essere applicato sistematicamente, ma solo dove ciò si dimostri appropriato e quindi applicabile.
Della difformità di trasposizione linguistica si è accorta, invece, la Corte di Giustizia Europea, la quale, come si vedrà nel seguito, ne ha fatto oggetto di approfondire analisi e valutazioni.
Resta applicabile alle attività di recupero dei vuoti minerari la specifica normativa in materia di terre e rocce da scavo e di sottoprodotti. Osservo che la nota del Ministero dell’Ambiente, qualificata da taluni quale circolare, costituisce l’espressione di un mero parere interpretativo della normativa sui rifiuti minerari a favore di una Amministrazione provinciale, e, per quanto autorevole, non può costituire un valido riferimento per il responsabile del procedimento relativo alla materia rifiuti: certamente può essere ignorato dalla magistratura ordinaria e amministrativa, come è successo nel caso che segue.

Sentenza C-147/15 della Corte di Giustizia Europea
Il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1382/2015 del 17 marzo 2015, ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), la seguente questione pregiudiziale: Se l’art. 10, par. 2, della direttiva comunitaria 2006/21/CE (attuato nell’ordinamento nazionale con l’art. 10, comma 3, del decreto legislativo n. 117/2008) si debba interpretare nel senso che l’attività di riempimento della discarica, qualora posta in essere mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione, debba  soggiacere alla normativa in materia di rifiuti contenuta nella direttiva 1999/31/CE anche nel caso in cui non si tratti di operazioni di smaltimento rifiuti, ma di recupero.
La richiesta del Consiglio di Stato alla Corte di Giustizia Europea si motiva in quanto la stessa Corte è competente a pronunciarsi sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli Organismi dell’Unione Europea.
Il Consiglio di Stato era chiamato a pronunciarsi in merito al ricorso di appello avverso una sentenza del TAR Puglia che aveva accolto la tesi del ricorrente secondo il quale per il riempimento dei vuoti minerari poteva essere sufficiente l’avvio della procedura semplificata di cui all’art. 214 del decreto legislativo n. 152/2006 (interpretazione avvalorata dal parere del Ministero dell’Ambiente di cui al punto precedente), quindi escludendo l’applicazione della direttiva discariche.
Con la richiesta pregiudiziale di che trattasi il Consiglio di Stato ha mostrato di avere dei dubbi circa la portata sostanziale dell’art. 10, comma 3, che, a una interpretazione letterale, escluderebbe la possibilità di operazioni di recupero con rifiuti diversi da quelli minerari di un vuoto estrattivo, in assenza di una specifica autorizzazione quale discarica.
La Corte di Giustizia, nel richiamare la differenza  esistente, nel caso di cui parliamo, tra la versione italiana e quella inglese e tedesca, ha ritenuto che l’interpretazione della norma, in caso di difformità linguistica, dovesse avvenire in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte.
La Corte di Giustizia, pertanto, conformemente alla interpretazione data a livello nazionale dal Ministero dell’Ambiente, ha affermato che la direttiva comunitaria sui rifiuti minerari non produce l’effetto di assoggettare alle prescrizioni relative alle discariche l’operazione di riempimento dei vuoti di una cava o di una miniera mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione, e che tale operazione può essere considerata come un’operazione di recupero.
Il concetto di recupero, nel caso di riempimento di un vuoto minerario, assume un significato particolare, in quanto tale recupero, perché non sia elusivo della normativa sulle discariche, deve consistere in una operazione il cui risultato principale sia di permettere ai rifiuti in questione di svolgere un ruolo utile, sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per assolvere una particolare funzione, consentendo di preservare le risorse naturali. L’obiettivo del recupero è il risparmio di risorse naturali, per cui, quando il risparmio di materie prime è solo un effetto secondario deve parlarsi di smaltimento e non di recupero. Compete al giudice nazionale valutare se nell’azione di recupero di un vuoto minerario possa valutarsi un comportamento elusivo della legislazione sulle discariche, mentre non esiste un’azione che possa qualificarsi contemporaneamente come smaltimento e come rifiuto.
La Corte di Giustizia non si è limitata a considerazioni di carattere giuridico e legislativo, e ha fornito al giudice italiano le indicazioni specifiche in base alle quali vi possono essere evidenze certe che il riempimento di un vuoto estrattivo sia da considerare recupero e non smaltimento.
• Il riempimento di un vuoto estrattivo, qualora non effettuato con materiale di rifiuto, deve essere realizzato con materiale più pregiato, provocando un inutile consumo di materia prima. In concreto, appare evidente che la semplice scelta dell’operatore minerario di riempire un vuoto minerario non può essere considerata attività di recupero, a meno che non sussista l’obbligo al riempimento. A titolo di esempio, il riempimento di un vuoto di cava può essere legittimamente considerato recupero quando il riempimento stesso è previsto dalla pianificazione regionale o provinciale delle cave, quando il riempimento del vuoto estrattivo è condizione essenziale per l’ottenimento del parere favorevole da parte del Comune, quando l‘impatto paesaggistico a fine coltivazione richiede il ritombamento del sito, etc. A tutti gli effetti si richiama la previsione di cui all’art. 183, comma 1, lett. t) del decreto legislativo n. 152/2006.
• Le operazioni di recupero si svolgono nel rispetto dell’ambiente e della salute, pertanto i rifiuti non estrattivi possono sostituire altri materiali secondo identiche condizioni di precauzione verso l’ambiente.
• Per il recupero di un vuoto estrattivo occorre utilizzare esclusivamente rifiuti inerti, con esclusione dei rifiuti pericolosi e non inerti: la definizione di rifiuto inerte, con riferimento ai rifiuti estrattivi, è contenuta nel decreto legislativo n. 117/2008, e può essere mutuata per la qualificazione di rifiuti inerti non estrattivi da utilizzare per recupero ambientale. Il riempimento con rifiuti non inerti o pericolosi qualifica la specifica attività quale smaltimento di rifiuti.
• Nel caso l’operatore di cava riceva un compenso per la messa a dimora di rifiuti non minerari, l’operazione effettuata dovrà essere considerata smaltimento dei rifiuti stessi e non recupero ambientale del vuoto di coltivazione.
• Il riempimento del vuoto di un’attività estrattiva può essere considerato come un’operazione di recupero soltanto se, in base allo stato più avanzato delle conoscenze scientifiche e tecniche, i rifiuti utilizzati sono idonei allo scopo.

Conclusioni
Il Ministero dell’Ambiente si è limitato a fornire un parere rigidamente normativo e formale, senza entrare nel merito circa l’applicazione concreta della normativa sui rifiuti minerari: si tratta di un parere corretto ma che certamente evita di affrontare i problemi pratici circa recupero e smaltimento di rifiuti nei vuoti di cava.
La Corte di Giustizia Europea, con obiettività, ha ben individuato i problemi normativi e concreti rappresentati dal recupero di vuoti minerari con riempimento di rifiuti non estrattivi, fornendo indicazioni operative chiare e inequivocabili, tali da integrare, di fatto, il parere del Ministero dell’Ambiente.
La trasformazione dei vuoti estrattivi in discariche o il loro riempimento con non chiare finalità di recupero ambientale, anche nella passata incertezza circa l’applicazione della normativa comunitaria, sono stati motivi forti di contrasto dell’attività mineraria da parte degli abitanti maggiormente coinvolti, con risvolti negativi per l’intero comparto estrattivo. La presenza di vuoti estrattivi costituisce certamente un’occasione favorevole per la messa a dimora di rifiuti prodotti dalla società civile, però occorre il rispetto delle regole da parte di tutti gli attori coinvolti, senza irrigidimenti precostituiti da parte della Pubblica Amministrazioni e senza aspettative speculative da parte degli operatori. L’argomento trattato, per quanto chiarito a livello normativo, procedimentale e giuridico, abbisogna di un ulteriore esame dal punto di vista strettamente applicativo: la casistica possibile risulta varia e numerosa e talvolta non inquadrabile nelle singole caselle delineate dalla Corte di Giustizia, in quanto la legge, per quanto attenta, non può esaurire tutti i casi possibili, per le sfaccettature legate alla particolarità dei luoghi, delle lavorazioni e delle competenze professionali degli operatori. u