Il Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare, con delibera del 31 luglio 2023 ha approvato il "Piano del mare per il triennio 2023-2025, di seguito denominato Piano: il medesimo Comitato provvederà al monitoraggio sull'attuazione del Piano stesso e al suo aggiornamento annuale in funzione degli obiettivi perseguiti
Il Piano al punto 2.1.5 prevede l'istituzione entro il 2024 della Zona Economica Esclusiva (ZEE); ai sensi dell'art. 56 della convenzione UNCLOS, (United Nations Convention on the Law o the Sea) nella ZEE lo Stato costiero gode di diritti sovrani ai fini, tra l'altro, dell'esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, migliorando lo sfruttamento sostenibile delle energie rinnovabili ed il controllo e la gestione dei giacimenti di idrocarburi della sottostante piattaforma continentale. Il concetto espresso appare poco chiaro, in quanto si fa riferimento a tutte le risorse naturali, mentre si richiama la possibilità di un ipotetico e non giustificato miglioramento esclusivamente dello sviluppo sostenibile per lo sfruttamento degli idrocarburi.
Mentre la ZEE per essere effettiva deve essere costituita, la piattaforma continentale, costituendo secondo l'art. 76, paragrafo 1, dell'UNCLOS, un prolungamento naturale del territorio emerso, appartiene allo Stato costiero di diritto.
Il Piano indica che tra le risorse naturali della piattaforma continentale vi sono anche minerali, diversi dagli idrocarburi, come i noduli polimetallici, le terre rare e le emissioni geotermiche, il cui sfruttamento (auspicato anche dall'Unione europea in una prospettiva di affrancamento dalle importazioni di energia) è parte integrante del processo di conoscenza, valorizzazione e sorveglianza della dimensione subacquea nazionale.
Il Piano, con riferimento agli idrocarburi liquidi e gassosi, richiama il «Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree idonee» (PiTESAI), redatto ai sensi dell'art. 11-ter della legge 11 febbraio 2019, n. 12, il quale, nella sua formulazione attuale, la decisione di non aprire più in futuro nuove zone marine alle ricerche di idrocarburi e di chiudere quelle attualmente aperte alle ricerche per le quali non vi siano istanze, chiudendo quindi ad ulteriori ricerche per lo sfruttamento di idrocarburi in mare.
Le potenzialità estrattive delle Materie Prime Critiche dei fondali marini profondi attualmente risultano poco note sia ai professionisti esperti del settore minerario, sia alla quasi totalità delle aziende operanti in ambito minerario; recenti iniziative legislative in Europa, azioni di disturbo di associazioni ambientaliste contro navi addette alla ricerca mineraria e la richiesta di alcuni Stati per una moratoria dell'approvazione di norme specifiche per la coltivazione mineraria dei fondali oceanici hanno portato alla ribalta le problematiche ambientali connesse allo sviluppo delle estrazioni in mare.
L'argomento trattato riprende i contenuti di un editoriale ANIM dell'anno 2018, motivato da un'iniziativa dell'allora Ministero degli esteri per la diffusione di notizie in merito alla potenzialità dello sfruttamento dei fondali oceanici per fini minerari, nonché per acquisire le disponibilità di operatori industriali italiani per la partecipazione ad iniziative concrete di ricerca e coltivazione.
Occorre evidenziare che nel corso degli ultimi cinque anni non sono state avviate iniziative minerarie di rilievo, mentre è cresciuta a livello governativo la consapevolezza circa l'opportunità di cogliere le occasioni produttive offerte dallo sfruttamento dei fondali marini, con incremento della partecipazione ai lavori dell'ISA (International Seabed Authority) da parte italiana e l'avvio di collaborazioni di ricerca di Enti nazionali.
Il Piano del Mare per il triennio 2023-2025
Il capitolo 2.11, "Dimensione subacquea e risorse geologiche dei fondali", al punto 2.11.3 affronta l'argomento "Sfruttamento delle risorse minerarie sottomarine", senza, peraltro, esprimere una posizione chiara in merito agli obiettivi che l'Italia deve porsi per il prossimo triennio.
Il Piano riconosce la valenza strategica della dimensione subacquea per la presenza nei fondali marini di vasti giacimenti minerari ricchi di rame, cobalto, manganese, nichel e terre rare in noduli solfuri o croste polimetalliche, tutti minerali fondamentali per la transizione energetica verso le fonti rinnovabili, i quali rappresentano un fattore irrinunciabile per lo sviluppo di innumerevoli settori, industriale, medico, tecnico-scientifico, militare.
Il Piano fa riferimento alla presenza delle risorse minerarie sopra richiamate oltre la giurisdizione nazionale rappresentata dalla piattaforma nazionale, in quella che l'UNCLOS definisce "Area", che si individua in vaste zone degli oceani a profondità abissali e con notevoli problemi di tipo tecnologico ed economici per la ricerca e l'estrazione.
Si evidenzia l'appartenenza al patrimonio comune dell'umanità dell'Area e delle sue risorse, la cui gestione è affidata all'International Seabed Authorithy, istituita dall'ONU, la quale opera come Autorità che definisce le regole dal punto di vista minerario e ambientale per il rilascio dei titoli minerari di prospezione, esplorazione e sfruttamento dei fondali oceanici.
Si riconosce un particolare impegno da parte dell'Italia nella finalizzazione del "Regolamento per lo sfruttamento delle risorse minerarie dell'Area" (Mining Code), peraltro oggetto di osservazioni fortemente critiche da parte di numerose Organizzazioni per la tutela dell'ambiente e di richiesta di moratoria da parte di numerosi Stati.
L'ISA ha completato l'intera normazione per le attività di ricerca ed esplorazione, che non implicano attività fortemente invasive sui fondali oceanici, rilasciando numerosi titoli minerari a Società (Contractors) operative sponsorizzate dai singoli Stati, ma, con riferimento alla coltivazione, peraltro già avviabile relativamente ad alcuni progetti minerari che hanno completato la fase di ricerca, ma incontra forti difficoltà, per le motivazioni sopra dette, a concretizzare gli ulteriori necessari provvedimenti relativi allo sfruttamento minerario dell'Area.
Il Piano, nel riconoscere l'assenza di concessioni di esplorazione (Più propriamente "autorizzazioni") a favore di imprese italiane, propedeutiche a future esplorazioni, riporta in modo del tutto fumoso che l'Italia dovrà valutare nel breve-medio termine l'opportunità di dotarsi della normativa richiesta dall'Autorità per partecipare alle attività di sfruttamento e di creare le condizioni affinché questa sfida tecnologica, finanziaria e industriale possa essere condivisa dalle aziende italiane secondo un approccio precauzionale basato sul minimo impatto sugli ecosistemi marini.
L'affermazione precedente, pur inserita nel Piano, evidenzia un approccio estremamente prudenziale alla partecipazione allo sfruttamento dei fondali oceanici, subordinato non all'approvazione di una legge di settore, ma ad una semplice valutazione dell'opportunità di approvare la legge stessa, e comunque riferita ad un approccio precauzionale dal punto di vista ambientale.
Non appare superfluo notare che mentre l'Italia pensa di dover fare qualcosa nel futuro, numerosi Stati, ed in particolare la Cina, stanno provvedendo ad accaparrarsi le aree dei fondali oceanici più promettenti dal punto di vista della risorsa mineraria, con ingentissimi investimenti per la ricerca operativa.
Si rischia in un futuro seppur lontano di veder riprodurre la medesima situazione che si sta concretizzando oggi per le materie prime critiche, con una assoluta prevalenza della Cina nel settore dell'estrazione e del trattamento di tali materie prime.
Il Piano infine, riporta ben chiaramente gli effettivi obiettivi della politica nazionale:
• promuovere e sostenere le attività di ricerca scientifica volte a verificare l'impatto sugli ecosistemi marini;
• favorire ed incentivare lo sviluppo di tecnologie sostenibili, in grado di garantire lo sfruttamento del patrimonio minerario dei fondali ne pieno rispetto delle norme internazionali e della massima tutela dell'ambiente marino.
Si tratta, a ben vedere di una posizione di retroguardia, priva di ogni utilità pratica per l'Italia, in quanto, alla ricerca scientifica e all'incentivo dello sviluppo di tecnologie sostenibili non si accompagna un'attività concreta di esplorazione mineraria ai fini dello sfruttamento economico dei fondali; non si prevede, ancora, lo sviluppo di sinergie con altri Stati maggiormente interessati all'attività mineraria, né l'attività di ricerca scientifica e di incentivazione dello sviluppo di nuove tecnologie si comprende come possa avere successo in assenza di attività mineraria concreta sui fondali marini.
Infine, le affermazioni circa gli obiettivi sopra esposti appaiono privi di effetti sostanziali, in quanto si tratta di mere affermazioni di principio, non accompagnate da previsioni concrete in termini programmatici ed economici.
All'interno del quadro sopra descritto appare di particolare interesse l'accordo siglato nell'anno in corso tra il CNR e la International Seabed Authority per promuovere la ricerca in acque profonde.
La partnership è stata formalizzata con la firma di una lettera di collaborazione per sviluppare attività congiunte dedicate a "far progredire la ricerca scientifica marina e rafforzare l'interfaccia scienza politica sui temi riguardanti i fondali marini, un bene comune dell'umanità poco noto al pubblico, ma estesissimo e cruciale per il funzionamento degli ecosistemi e dell'economia".
L'argomento della partnership appare certamente molto interessante, ma comunque lontano dagli obiettivi, peraltro nemmeno previsti dal Piano, di un possibile sfruttamento da parte italiana dello sfruttamento anche a medio termine delle risorse minerarie dei fondali oceanici.
Il Piano, come formulato, sembra non considerare le potenzialità minerarie della piattaforma continentale italiana, molto interessante per la presenza di depositi di origine vulcanica a solfuri polimetallici, denominati Seafloor Massive Sulfhide Deposits (SMS) nell'area tirrenica.
A parere dello scrivente il mancato riferimento circa i depositi dei fondali marini di interesse nazionale non è dovuto ad una scelta di tipo conservativo volta ad escludere lo sfruttamento minerario di tali fondali, bensì ad una carenza di informazioni circa l'interesse economico dei potenziali giacimenti presenti e in parte documentati.
Allo stato attuale in ambito europeo solo la Norvegia sta proponendo di aprire parti della propria piattaforma continentale per attività economiche di sfruttamento minerario; il governo ha messo a punto una strategia che dimostra come la Norvegia aspiri a diventare leader globale, a livello operativo e di conoscenza, nella gestione delle risorse minerarie del fondale marino di propria pertinenza. Il governo norvegese, almeno come dichiarazione di principio, ha affermato che le considerazioni ambientali saranno interamente osservate lungo tutta la catena del valore, e l'estrazione sarà permessa solo nel caso in cui gli operatori potranno dimostrare di operare in modo sostenibile e responsabile.
In relazione agli evidenti impatti ambientali, soprattutto nella fase di coltivazione mineraria, il governo norvegese ha condotto studi approfonditi sin dal 2011, in collaborazione con il sistema universitario, quindi nel giugno 2019 si è dotato di una legge specifica per l'esplorazione e lo sfruttamento dei fondali marini (Seabed Mineral Act), e nel gennaio 2020 ha avviato un processo per l'apertura delle aree interessate all'esplorazione e allo sfruttamento.
Il processo per l'apertura è consistito in due azioni:
1. Valutazione degli impatti
2. Valutazione delle risorse.
La Valutazione degli impatti si è conclusa a dicembre 2022 con una discussione pubblica, la valutazione delle risorse si è conclusa nel gennaio 2023 e successivamente, alla data del 20 giugno 2023, il governo ha pubblicato un libro bianco raccomandando l'apertura di alcune aree alle istanze di esplorazione mineraria da parte delle aziende, senza distinzione di nazionalità.
Si è riportato brevemente il percorso norvegese per l'apertura di zone della piattaforma continentale alla esplorazione e sfruttamento minerario per evidenziare il lungo tragitto compiuto dalla Norvegia per aprire i propri fondali ai lavori estrattivi, necessario per la tutela dell'ambiente e della biodiversità.
Il percorso peculiare della Norvegia ha potuto sfruttare l'efficiente organizzazione del Norvegian Petroleum Directorate (NPD), che ha potuto valutare direttamente la consistenza delle risorse, riportandone una stima di sufficiente dettaglio per i solfuri polimetallici e le croste di manganese.
Lo sfruttamento dei fondali oceanici
Lo sfruttamento minerario dei fondali oceanici è regolato dalla United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS) del 1982 e dall'Accordo del 1994 per l'implementazione della Parte XI della stessa convenzione.
Il campo di intervento della UNCLOS riguarda le superfici dei fondali marini all'interno della cosiddetta "Area", superficie che ricomprende per intero tutte le aree indiziate per la presenza di minerali potenzialmente sfruttabili economicamente e tecnicamente.
La UNCLOS regolamenta, dal punto di vista minerario, i fondali oceanici in aree esterne ai limiti della giurisdizione nazionale, le cui risorse sono designate quali "eredità comune del genere umano", da sottrarre alla disponibilità dei singoli Stati e da destinare ad usi pacifici a favore di tutta l'umanità.
La International Seabed Authority (ISA), con sede a Kingston, Jamaica, istituita dalla UNCLOS, è una Organizzazione internazionale autonoma, attraverso la quale gli Stati aderenti organizzano e controllano le attività nell'Area, con l'obiettivo di amministrare le risorse minerarie presenti.
Occorre osservare che l'Italia, sesto contributore di ISA, anche in relazione alla particolare collocazione nel Consiglio, potrebbe rivestire un ruolo rilevante in tutte le decisioni che tale Organismo è chiamato a prendere, con potenziali notevoli vantaggi per l'industria e per l'economia nazionale delle materie prime.
Le competenze principali di ISA fanno riferimento alla regolazione delle attività di prospezione, esplorazione e coltivazione dei fondali oceanici profondi, assicurando che l'ambiente marino sia protetto dagli effetti negativi che potrebbero verificarsi durante le sopra citate fasi dell'attività estrattiva sottomarina. ISA ha anche la responsabilità di promuovere e incoraggiare la ricerca scientifica marina nell'Area, disseminando i risultati di tale ricerca, mentre non ha alcuna competenza circa le altre attività che potrebbero interessare il fondale marino, il sottosuolo e la colonna d'acqua.
L'Assemblea di ISA ha approvato una sorta di "Codice Minerario" relativamente alle attività di prospezione ed esplorazione autorizzabili per una durata massima di quindici anni, con riferimento alle tre tipologie di depositi minerari (si potrà parlare di giacimenti minerari allorché ne sarà dimostrata la coltivabilità tecnica ed economica) oggetto di potenziale sfruttamento nell'Area:
1. Solfuri polimetallici (PMS)
2. Croste di ferromanganese con elevate concentrazioni di cobalto (CFC)
3. Noduli polimetallici (PMN)
Per ognuna delle tre tipologie di deposito è stata approvata una decisione relativa alle attività di prospezione ed esplorazione, che potranno essere autorizzate su una superficie massima di 150.000 chilometri quadrati, con obbligo di rilascio da parte dei contractors di percentuali prestabilite di tale superficie in funzione del tempo trascorso dal conferimento dell'autorizzazione stessa.
Ognuna delle tre decisioni contiene una parte corposa relativa alla protezione e tutela dell'ambiente marino, con obblighi a carico di ISA, degli Stati membri che sponsorizzano le iniziative minerarie e dei contractors.
Attualmente sono presenti 19 contracts per l'esplorazione di PNM nella Clarion-Clipperton Fracture Zone (17), nel Central Indian Ocean Basin (1) e nel Western Pacific Ocean (1), 7 contracts per esplorazione di PMS nel South West Indian Ridge, Central Indian Ridge e Mid-Atlantic Ridge e 5 contracts per esplorazione di CFC nel Western Pacific Ocean, per un totale di 31 contracts.
Si riscontrano seri problemi per l'approvazione del Regolamento relativo alla fase di sfruttamento dei giacimenti dell'Area.
L'Accordo del 1994 per l'implementazione della Parte XI della UNCLOS prevede che entro due anni dalla data di richiesta di uno Stato membro, sponsor di un contractor per l'esplorazione di un settore dell'Area, faccia richiesta di passare alla successiva fase di sfruttamento, ISA approva il Regolamento relativo allo sfruttamento dei fondali oceanici.
A seguito della richiesta da parte dello Stato di Nauru nel 2021 di approvazione del sopra citato Regolamento, il Consiglio di ISA non ha potuto procedere alla sua approvazione, per le osservazioni, sostanzialmente di carattere ambientale, da parte di importanti Stati membri (tra gli altri, Francia, Germania, Portogallo e Finlandia), quindi è stato stabilito un percorso per riformulare la bozza proposta in approvazione nel giugno 2023 entro i successivi due anni. ISA nel corso del mese di novembre 2023 ha proposto una nuova bozza di Regolamento, cercando di rispondere positivamente alle osservazioni presentate.
Conclusioni
Il Piano del Mare, con riferimento ai fondali marini, non esprime una specifica linea operativa, limitandosi a sottolineare principi generali, certamente condivisibili ma non tali da caratterizzare un percorso positivo per l'Italia per un intervento per lo sfruttamento dei fondali marini stessi.
Non si evidenzia una visione strategica, ma solo si riscontrano indirizzi legati ad attività di ricerca scientifica e alla incentivazione di tecnologie sostenibili.
Gli Stati maggiormente presenti sulla scena internazionale sono quelli che conservano ancora una notevole capacità mineraria, che può spesa, fatte le debite modifiche operative, anche per lo sfruttamento dei fondali oceanici. L'Italia risente della lunga interruzione dell'attività mineraria tradizionale, sostanzialmente cessata alla fine degli anni ottanta, per scelte di carattere politico e per il fallimento della politica mineraria nazionale approvata nel 1982.
Nel Piano del Mare si citano esclusivamente le attività dell'International Seabed Authority, accennando al contributo italiano per la redazione del Regolamento per lo sfruttamento, il quale appare privo di significato concreto in assenza di attività nazionali interessate dalle esplorazioni minerarie e potenzialmente dalle successive attività di coltivazione mineraria.
Con riferimento allo sfruttamento dei fondali della piattaforma continentale nazionale, richiamando l'esempio norvegese, si devono constatare le carenze, sotto ogni aspetto, dal livello conoscitivo, a quello legislativo ed amministrativo dell'Italia.
è indispensabile disporre di una legislazione ad hoc, che supporti con elementi di chiarezza l'azione degli operatori minerari e che crei un ambiente amministrativo favorevole, eventualmente prendendo a riferimento le disposizioni della International Seabed Authority o la legislazione norvegese, adattata alla realtà nazionale.
Eventuali riferimenti relativi all'applicazione delle legislazioni in materia di minerali solidi o di idrocarburi per la valorizzazione delle risorse minerarie del fondale marino della piattaforma continentale non appaiono corretti e soprattutto adeguati alle problematiche specialistiche da affrontare, viste le notevoli differenze in termini ambientali, tecnici e di tutela della biodiversità delle differenti tipologie estrattive.
Con riferimento alla tutela della biodiversità appare necessario far riferimento all'Agreement under the United Nations Convention on the Law of the Sea on the conservation and sustainable use of marine biological diversity of areas beyond national jurisdiction, intervenuto alla Conferenza Intergovernativa del 19 giugno 2022 per le zone comprese nell'Area, mentre appare opportuno applicare i principi contenuti nell'Agreement anche alla piattaforma continentale.