Le tariffe di escavazione delle cave: gli obiettivi e le contraddizioni della legislazione regionale

Quasi tutte le leggi regionali prevedono il pagamento, a carico degli esercenti di cava, di oneri sempre più rilevanti a favore della Regione stessa, di Enti Locali o di Parchi, direttamente proporzionali ai volumi estratti o utilizzati e dipendenti dalle caratteristiche  merceologiche del minerale coltivato.
Gli oneri imposti alle aziende estrattive non tengono conto delle modalità di coltivazione della cava, del differente impatto ambientale e paesaggistico del sito, nonché del maggiore o minore impegno profuso dall'esercente il sito estrattivo per il recupero ambientale: talvolta le leggi regionali riportano generici obiettivi di compensazione o di mitigazione ambientale a fronte della corresponsione degli oneri richiesti, mentre mai si prevede una corrispondenza diretta tra tariffe corrisposte e opere di compensazione realizzate.
La tariffa regionale (talvolta definita contributo), così come oggi applicata, non costituisce il corrispettivo di un servizio fornito da parte della Pubblica Amministrazione, come dovrebbe essere, né lo specifico compenso per disturbi o danni ambientali provocati dall'attività estrattiva, ma solo una effettiva tassa sulla produzione, genericamente intesa, per la sola presenza dell'attività estrattiva all'interno di un determinato territorio comunale. La corresponsione, a favore, soprattutto, di Amministrazioni comunali, di cifre più o meno rilevanti, come pure l'effettuazione di lavori di manutenzione o di costruzione per le stesse Amministrazioni è stata da sempre un metodo corretto per acquisire il favore delle popolazioni locali, rendendo certamente più accettabili interventi estrattivi che, in termini di rumore, polveri, vibrazioni, circolazione dei mezzi d'opera e di trasporto, nonché di impatto paesaggistico, costituivano una interferenza con il normale volgersi delle attività civili. La definizione degli oneri a carico delle aziende e delle relative modalità di erogazione erano definite mediante convenzioni lasciate alla libera determinazione dei contraenti, ma solo apparentemente, in quanto l'esercente di cava il più delle volte non aveva possibilità di scelta, corrispondendo ad una mancata sottoscrizione di una convenzione l'impossibilità concreta di sfruttare il giacimento individuato.
In assenza di regolamentazione normativa, talvolta le richieste delle Amministrazioni locali hanno raggiunto livelli intollerabili per l'economia delle aziende minerarie, nonché ingiustificate dagli effettivi disturbi arrecati dall'attività estrattiva, trasformandosi in balzelli da subire e corrispondere per poter esercitare il diritto allo sfruttamento dei giacimenti nell'interesse dell'economia nazionale.
L'imposizione da parte delle leggi regionali di tariffe predeterminate, collegate con i volumi estratti o commercializzati, è sembrata essere un valido antidoto alla diffusione di richieste  spesso ingiustificate ed esose della parte pubblica, ma si è rivelata foriera di ulteriori problemi applicativi ed economici per le aziende minerarie.
In via prioritaria, si osserva che ogni Regione ha determinato le proprie tariffe, a partire da considerazioni non tecnico-economiche, ma politiche: si è ritenuto di assoggettare a tariffa i volumi estratti o commercializzati non in funzione di parametri oggettivi, bensì seguendo il criterio di richiedere generiche compensazioni in funzione del livello economico dell'attività di cava, ritenuta generalmente portatrice di utili elevati, una parte dei quali doveva necessariamente essere indirizzata verso la collettività. L'imposizione di tariffe differenti tra Regioni confinanti, in assenza di ogni giustificazione economica e ambientale circa le scelte effettuate, ha provocato, talvolta, una distorsione del mercato delle materie prime, indirizzando la domanda verso le attività soggette a minore tariffa, in quanto le stesse attività erano maggiormente concorrenziali, proprio per la minore tariffa da corrispondere.
Si è assistito, nel corso degli anni, ad una emulazione tra le Regioni, per cui  il valore più alto della tariffa determinato da una singola Regione diventava nuovo riferimento per le altre Regioni che applicavano una tariffa inferiore.
La determinazione di una tariffa rapportata ad un volume estratto o commercializzato, da corrispondere quale presunta compensazione, ancorché, talvolta, non espressa in alcun modo dalla legge regionale di riferimento, se da un lato ha risolto le problematiche circa l'abuso di richieste da parte di alcune Amministrazioni Locali, dall'altro ha appiattito, se pur su un elevato livello di corresponsione economica, il sistema delle compensazioni stesse, penalizzando gli operatori più virtuosi.

Si esaminano di seguito i più significativi fattori negativi generati dall'attuale sistema delle tariffe dei diritti di escavazione.

  • Le tariffe uniformi penalizzano gli operatori virtuosi che, con investimenti anche notevoli, hanno effettuato interventi di mitigazione degli impatti notevoli, intervenendo sia sul ciclo estrattivo in cava, sia su quello di lavorazione degli impianti, per ridurre le emissioni di inquinanti chimici e fisici, per ridurre gli impatti visivi per il migliore inserimento del sito di cava o di lavorazione nell'ambiente circostante, nonché per ottimizzare il sistema dei trasporti del prodotto di cava verso i luoghi di utilizzo. L'obbligo di corrispondere tariffe elevate, per le aziende che investono sull'ambiente, non giustificato da impatti negativi corrispondenti sul territorio, penalizza in termini economici l'attività estrattiva, certamente meno concorrenziale, in quanto sopporta oneri diretti maggiori, rispetto alle attività meno attente alle esigenze del territorio.
  • Sempre più spesso le tariffe acquisite dalle Amministrazioni Locali sono utilizzate per corrispondere alle esigenze della gestione ordinaria di Comuni, Parchi e Province, sottraendo le cifre incassate dall'utilizzo per attività di compensazione ambientale cui dovrebbero essere destinate, talvolta per legge e comunque per obbligo morale nei confronti di chi ha versato le tariffe stesse e delle popolazioni direttamente interessate dall'impatto dell'attività estrattiva.
  • Le Amministrazioni Locali utilizzano i fondi derivanti dalla corresponsione delle tariffe senza dover rispondere, di fatto, a controlli da parte della Magistratura contabile, in quanto la legislazione regionale appare fortemente lacunosa nel definire i criteri di utilizzo degli introiti di provenienza estrattiva, anche mediante l'adozione di una terminologia volutamente lacunosa. L'utilizzo dei fondi derivanti dalle tariffe di escavazione per funzioni di gestione ordinaria risolve problemi concreti di funzionamento della macchina amministrativa, ponendola a carico degli operatori minerari, costituendo quindi un sistema improprio di finanziamento dell'Ente Locale.
  • La corresponsione delle tariffe di escavazione al Comune sede dell'attività estrattiva non sempre supporta l'Amministrazione Locale effettivamente interessata da eventuali impatti negativi: non è raro che Comuni limitrofi al sito estrattivo, ancorché privati di introito economico, subiscano i maggiori impatti negativi, per la maggiore vicinanza dei siti alle aree abitate, industriali, agricole o turistiche di tali Comuni. Il non aver indirizzato il contributo economico dell'azienda estrattiva ad un Comune che ne subisce maggiormente l'impatto negativo costituisce motivo di danno per l'azienda estrattiva stessa, la quale è obbligata a corrispondere gli oneri determinati per legge, senza che le relative compensazioni pervengano al Comune che è effettivamente interessato dall'impatto negativo stesso.
  • Il mancato utilizzo delle tariffe corrisposte dagli operatori minerari per compensazioni dirette agli interessati costituisce un danno di immagine per gli stessi operatori minerari, i quali non intravedono un ritorno positivo circa gli oneri sostenuti: le popolazioni residenti nell'area di influenza dell'attività estrattiva continueranno a osservare e valutare il sito estrattivo con diffidenza o ostilità, mentre gli effetti positivi degli oneri corrisposti potranno ricadere addirittura su chi non ne conosce l'effettiva provenienza. E' interesse legittimo degli operatori minerari che sia evidenziato correttamente l'utilizzo dei fondi versati in attività direttamente collegate al sito estrattivo, in modo da rendere immediatamente percepibile l'entità dell'intervento economico sostenuto. A titolo esemplificativo, si riporta il caso di un Comune che non effettua la manutenzione delle strade pubbliche di transito dei mezzi di trasporto del minerale lavorato, pur a fronte degli ingenti oneri introitati, contribuendo a far percepire un'immagine negativa del sito estrattivo.
  • La corresponsione di tariffe alle Amministrazioni Locali, regolarmente previste nei bilanci annuali, rende tali Amministrazioni fortemente dipendenti dall'andamento delle attività estrattive; una riduzione produttiva, per esigenze di ristrutturazione, per contrazione del mercato o per difficoltà del processo produttivo per riduzione della qualità o volume del minerale estratto, ha riflessi diretti sul funzionamento dell'Ente Locale.
  • La dipendenza dell'Ente Locale dalla corresponsione degli oneri per le tariffe porta spesso lo stesso a rendersi difensore d'ufficio dell'attività stessa, generalmente a pieno titolo, ma talvolta ribaltando i processi decisionali per puro interesse di bilancio.
  • L'attuale crisi strutturale che ha colpito il settore estrattivo di cava, con compressione anche dei prezzi di vendita, fa si che il valore delle tariffe da corrispondere costituisca una percentuale importate del valore di mercato del prodotto di cava, tale da potersi considerare una ulteriore, pesante tassazione sul fatturato aziendale.
  • Le tariffe di cava sono determinate in funzione delle caratteristiche merceologiche del materiale di cava estratto, indipendentemente dal previsto utilizzo dello stesso nella successiva attività industriale di valorizzazione. Non è raro il caso di minerali cui fanno riferimento tariffe differenti ma con impieghi analoghi, con i conseguenti riflessi negativi in termini di tutela della concorrenza.

L'aver quasi del tutto separato la corresponsione di tariffe per diritti di escavazione dalla necessità di provvedere a specifiche compensazioni ambientali porta inevitabilmente a errori concettuali circa il significato stesso dell'imposizione tariffaria: a puro titolo di esempio si richiama la recente relazione annuale sulle cave in Italia da parte di Legambiente, che espressamente parla addirittura di canoni da corrispondere da parte delle cave in funzione dei materiali estratti, accusando alcune regioni di permettere una "estrazione gratuita".
Le cave, ai sensi dell'articolo 45 del regio decreto n. 1443/1927, sono lasciate in disponibilità del proprietario del suolo, quindi non vi è diritto da parte della Pubblica Amministrazione di veder corrisposto un canone, previsto solo per le miniere, in quanto il relativo giacimento è sottratto al proprietario del suolo stesso.
E' da segnalare una novità importante in materia di legislazione regionale sui diritti di escavazione: la Regione Toscana, con legge n. 35/2015, "Disposizioni in materia di cave", ha espressamente previsto a carico degli operatori di cava, per la prima volta, la corresponsione di tariffe (contributi di estrazione) collegate al valore medio del minerale, come determinato dalla Regione stessa, nel limite massimo del 10,50%: con estrema e voluta poca chiarezza, la gran parte dei fondi è destinata a interventi infrastrutturali, a opere di riqualificazione ambientale e altri interventi di riqualificazione territoriale, nonché per la razionalizzazione degli adempimenti comunali relativi all'istruttoria delle domande di autorizzazione e al controllo delle attività di cava, compresa la relativa vigilanza.
Le precedenti considerazioni portano alla inevitabile conclusione che l'attuale sistema di individuazione delle generiche compensazioni di cava mediante tariffe collegate ai volumi estratti o ai relativi valori di mercato appare penalizzante per gli operatori minerari e non vantaggioso per la collettività direttamente interessata dagli impatti del sito estrattivo. In particolare, l'assenza di regole circa la destinazione degli oneri tariffari ad attività di gestione amministrativa o di compensazione ambientale porta inevitabilmente a privilegiare utilizzi privi di collegamento diretto con il sito di cava, e tali da non far intravvedere un rapporto diretto tra onere sostenuto e benefici per la collettività direttamente interessata dalla cava.
L'attuale sistema, comunque, risulta ormai consolidato a livello normativo, e tale da non poter essere agevolmente scalfito da osservazioni o richieste, che certamente troverebbero ascoltatori poco attenti, a livello politico e amministrativo, per cui appare necessario, realisticamente, proporre soluzioni che, pur nell'attuale solco legislativo, introducano elementi di maggiore attenzione per le compensazioni ambientali dirette.
A tal fine giova richiamare la recente sentenza della Corte Costituzionale, n. 34 del 10 febbraio 2015, che ha giudicato costituzionalmente legittimo l'articolo 42, comma1, della legge della Regione Marche n. 31/2009, che espressamente prevede che una parte del contributo che la Società versa al Comune, pari al 50%, sia destinato per attività di recupero e bonifica ambientale di cave dismesse e di aree degradate, nonché per interventi atti a migliorare l'assetto idrogeologico.
La sentenza di cui sopra, pur non essendo pienamente soddisfacente circa l'effettivo utilizzo degli oneri versati per opere di compensazione a diretto favore delle popolazioni interessate, introduce un principio interessante, per cui una percentuale significativa del contributo deve essere impiegata per compensazioni ambientali.
Le convenzioni stipulate tra il Comune e il titolare dell'autorizzazione di cava, per le leggi regionali che le prevedono, dovrebbero contenere in dettaglio gli impegni dell'Amministrazione comunale circa l'utilizzo degli oneri versati per compensazioni ambientali.
E' compito delle Associazioni datoriali farsi carico, al momento della discussione nei Consigli Regionali di singole proposte legislative che comportino l'approvazione o la modifica di leggi sulle cave, circa le effettive necessità di chiarezza e trasparenza in materia di destinazione degli oneri versati relativi a tariffe dei diritti di escavazione, cercando anche di definire comportamenti unitari in ambito nazionale.
L'ANIM, Associazione Nazionale Ingegneri Minerari, intende contribuire alla discussione predisponendo un documento che esamini la legislazione e i regolamenti attuativi delle singole Regioni, valutando le più interessanti e coerenti scelte normative, da proporre in una linea guida nazionale per una successiva sottoposizione al settore attività estrattive del Coordinamento Nazionale delle Regioni.